Il 2015 è un anno importante per la Nasa e per la ricerca di pianeti extrasolari, o esopianeti, perché si festeggia il 20esimo anniversario della scoperta del primo corpo celeste in orbita attorno a una stella simile al sole. Il nome del pianeta è 51 Pegasi B, la cinquantunesima stella, in ordine di brillantezza, nella costellazione di Pegaso. A scoprirlo due astronomi svizzeri, Michel Mayor e Didier Queloz, che decisero di fare l’annuncio nel corso di una conferenza a Firenze, il 6 ottobre 1995. La storia dello spazio, almeno quella conosciuta dal genere umano, subiva un ribaltamento epocale: il sistema solare non era più unico nell’Universo e questo rimetteva in discussione tutte le scoperte fatte fino ad allora.
Nasceva, così, una nuova branca dell’astronomia, che diede il via alla gara per la scoperta di nuovi sistemi planetari. La disciplina è in continua espansione e il tasso di crescita del numero dei pianeti extrasolari è sempre più accelerato: in 20 anni sono state effettuate 5608 scoperte, di cui 1904 presentano molti tratti in comune con la Terra.
La maggior parte delle scoperte è stata effettuata con Kepler, il telescopio spaziale della Nasa, ma, nel prossimo futuro, se ne aggiungeranno altre, grazie ai nuovi osservatori spaziali - tra cui il James Webb Space Telescope (JWST) e il Transit Exoplanet Survey Satellite (TESS) - che continueranno a studiare e a ricercare nuovi mondi.
La Nasa ci tiene particolarmente a questo progetto, tanto che ha creato Planet Quest, un sito che tiene aggiornati gli utenti sulle scoperte, anche minime, riguardanti altri pianeti. "Uno strumento - ha spiegato la stessa agenzia spaziale - che ci consente di entrare in una nuova era dell'astronomia, un'era in cui verranno finalmente fornite risposte a domande e dubbi che hanno migliaia di anni".
La scoperta di un pianeta abitabile "ridefinirebbe tutto quello che sappiamo dell'Universo e il posto che noi occupiamo in questo", hanno spiegato gli astronomi. Scoprire altre forme di vita su superfici di pianeti che non sono il nostro, poi, "rivoluzionerebbe la storia dell'umanità".
Le ricerche di questi anni stanno mostrando che sono piuttosto frequenti i pianeti “potenzialmente abitabili”. Allo stato attuale della ricerca, il candidato a migliore "sostituto" del nostro corpo celeste è Kepler 438-b, che, come affermato dagli esperti, potrebbe presentare "alcune delle caratteristiche tipiche di un pianeta come il nostro". L'unico problema è la distanza che ci separa dal "fratello" della Terra, circa 472 anni luce.
Oltre ad avere le dimensioni giuste - ha recentemente scritto Patrizia Caraveo, direttore dell’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica di Milano (IASF) - il pianeta che cerchiamo deve anche trovarsi nella zona di abitabilità della sua stella, non troppo vicino per evitare di andare arrosto, come succede a Venere, e non troppo lontano per evitare di congelare, come succede a Marte". La zona di abitabilità, quindi, è fondamentale per garantire la possibilità di avere acqua liquida in superficie, anche se solo una dei numerosi parametri da considerare. "Non dobbiamo dimenticare - ha sottolineato il direttore dell'IASF - che gli oceani terrestri sarebbero perennemente gelati se l’atmosfera, con il suo effetto serra, non contribuisse ad alzare la temperatura media sulla superficie terrestre".
Quindi Kepler 438-b e gli altri esopianeti scoperti sino a ora ospitano degli “alieni”? E' impossibile affermarlo, come altrettanto impossibile è negarlo. Con la tecnologia in nostro possesso, se pure ci fossero, sarebbe impresa ardua riuscire a comunicarci. "Ammesso anche che fossero loro a inviarci dei segnali, questi viaggerebbero - stando alle ipotesi degli esperti della Nasa - alla velocità della luce, quindi arriverebbero da noi fra più di 400 anni. Contando altri 400 anni per la nostra risposta, si capisce quanto sarebbe difficile comunicare con loro".
In 20 anni, sono stati scoperti pianeti di ogni tipo: gioviani caldi in orbite strette, mondi rocciosi di diamante e altri dove piove ferro. "Quello che tutti cercano - ha concluso il direttore Caraveo - è un sistema planetario simile al nostro sistema solare, con un numero ed una distribuzione di pianeti paragonabili a quello nel quale abitiamo. Ovviamente, il fine ultimo è la scoperta di una nuova Terra. Sappiamo che ci stiamo avvicinando, forse l’abbiamo già vista ma non siamo ancora in grado di riconoscerla".
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