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17/11/17

Gli extraterrestri visti dai ricercatori di Oxford sono fatti così|Guarda


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Chi di noi non ha pianto vedendo E.T. di Spielberg? Bè, dimenticate l’adorabile extraterrestre con gli occhioni azzurri, il collo telescopico e la punta del dito luminosa. Perché, dice uno studio di tre zoologi di Oxford, non è affatto detto che il modo migliore (o comunque l’unico) per immaginare una forma di vita aliena sia quello di fare delle predizioni basate sull’osservazione di quanto accade sulla Terra.Ma gli alieni hanno gli occhi?
Nella nostra galassia ci sono 100 miliardi di pianeti. Nel 20 per cento dei casi si presume che essi si collochino in una zona dello spazio capace di produrre una biosfera. Anche nel caso in cui solo lo 0,001 per cento di essi avesse sviluppato una qualche forma di vita, vorrebbe dire che ci sono 200 mila pianeti abitabili nella nostra Galassia. Recentemente in America e in Europa si stanno facendo investimenti di centinaia di milioni di dollari per cercare di immaginare come potrebbe essere un’ipotetica forma di vita aliena. Ma il solo esempio che i ricercatori hanno a disposizione è la Terra. Partendo da quanto è accaduto sul nostro pianeta, si fanno delle previsioni statistiche sul grado di probabilità che gli stessi fenomeni siano accaduti altrove. Per esempio, siccome la maggior parte degli animali dispone di occhi, immaginiamo che anche gli extra-terrestri debbano averli. E siccome il carbonio è un elemento fondamentale della materia vivente (in un uomo che pesa 70 chili sono presenti circa 14 kg di carbonio) ipotizziamo che anche le forme di vita aliena siano a base di carbonio. Ma chi l’ha detto - dicono gli autori dello studio - che invece non siano fatti di silicone e senza occhi?
Elementare Watson, elementare
Moderni Sherlock Holmes, i tre ricercatori di Oxford, invece di applicare il calcolo statistico, hanno scelto di servirsi del metodo deduttivo. Sono partiti da un’assunzione: che qualunque forma di vita possa essersi sviluppata nello spazio debba aver subito una selezione naturale come quella teorizzata dall’evoluzionismo darwiniano. Perché? Perché, a meno che non ci si affidi alla teoria del disegno intelligente, il meccanismo di selezione naturale è il solo che permetta di spiegare la vita, ovvero l’esistenza di organismi che hanno lo scopo apparente di riprodurre se stessi. I ricercatori oxoniensi fanno l’esempio della giraffa. All’inizio vi erano esemplari con il collo di diverse lunghezze, ma quelli col collo più lungo, potendo arrivare a a mangiare anche le foglie dei rami più alti, avevano più chance di sopravvivere e quindi più tempo per riprodursi. Di conseguenza gradualmente la popolazione delle giraffe finì per essere dominata da esemplari con il collo lungo.
Gli organismi e le società evolute? Sopprimono i conflitti
L’evoluzione di forme di vita complessa sulla Terra - dicono ancora i tre zoologi - sembra essere dipesa da un ristretto numero di quelle che si definiscono «transizioni maggiori». In ogni processo di transizione un gruppo di individui che prima potevano riprodursi da soli si mettono insieme per costituire una organismo di livello superiore, una nuova e più complessa forma di vita in cui le singole parti cooperano e si sacrificano per il successo dell’insieme. Prendiamo il corpo umano. Perché le cellule della mano o del cuore non cercano di riprodursi da sole ma «si affidano» agli spermatozoi e agli ovuli? La stessa cosa succede nelle comunità di insetti sociali come le api che invece di riprodursi fra loro aiutano la regina madre a riprodursi. La ragione di questo apparente sacrificio da parte delle singole parti (mano, cuore) o dei singoli individui (api operaie) sta in quello che viene definito un allineamento di interessi. La mano ha tutto l’interesse a riprodursi ma «sa» che delegando gli spermatozoi/ovuli (o la regina madre nel caso delle api) ha più chance di ottenere l’effetto desiderato. La teoria evolutiva insomma dimostra che affinché si verifichi un processo di transizione da un singolo individuo a una realtà più complessa deve essere eliminato ogni elemento di conflitto. Lo stesso vale per qualsiasi forma di vita aliena immaginabile che sia più complessa di una semplice molecola che si autoreplichi o di un gigantesco blob.
«Ora non ci resta che trovarli»
Supponendo che anche gli extraterrestri siano passati attraverso fasi di transizione maggiori si possono fare un serie di ipotesi sulla loro natura: deve trattarsi di entità composte da sottoentità più piccole che collaborano fra loro avendo eliminato ogni conflitto interno oppure di un’organizzazione complessa e solidale come gli insetti sociali (termiti, formiche, api e vespe) o gli Ewoks di Star Wars. Nel disegno realizzato dall’illustratrice Helen Cooper appare un esemplare battezzato «The Octomite» composto da una serie di organi disposti in ordine gerarchico che svolgono ciascuno un compito diverso e che dipendono l’uno dall’altro. «Certo - ammette Sam Levin, primo firmatario dello studio - non siamo ancora in grado di dire se gli alieni camminano su due gambe o hanno grandi occhi verdi. Tuttavia possiamo affermare che esiste un livello di prevedibilità nell’evoluzione che potrebbe portarli ad avere un aspetto simile al nostro». Il che ridà qualche speranza agli appassionati di E.T., anche se il disegno dell’Ottomita non somiglia granché al simpatico extraterrestre realizzato da Carlo Rambaldi. Il modo migliore di immaginare come potrebbero essere fatti gli alieni, conclude lo studio, è combinando l’approccio meccanicistico basato sull’osservazione degli organismi terrestri con quello basato sula teoria evolutiva. «Ora non ci resta che trovarli».
Fonte : coriere della sera

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